“Che razza di libro!” non è un giallo, ma è un libro da leggere

Oggi presentiamo un libro anche se non è un giallo. Ma è un libro che pone delle domande sull’esistenza…

Era un rischio e l’ho corso. Il rischio era che alla fine delle 300 pagine esclamassi “che razza di libro” ed è andata così, ma ho anche aggiunto “coinvolgente”. In certi momenti ho dovuto fermarmi nella lettura e restare a recuperare la storia, perchè la storia e le parole scelte (probabilmente un grazie va al traduttore) per raccontarla, mi avevano emozionato, avevano scatenato in me un tempesta imperfetta di sentimenti e controsentimenti, di ferite chiuse e riaperte. E’ stato come assistere ad una turbolenta imprevedibile tromba d’aria che ha raccolto i puzzle della mia vita quasi composti in una traballante e scomposto turbinio di emozioni. “Che razza di libro” di Jason Mott è un romanzo che si può leggere a ripetizione, è come un loop che non se ne va dalla testa e dallo stomaco. E’ un libro double face, sembra leggero e surreale con la storia dell’immaginazione che ha preso prigioniero lo scrittore la cui vita è stravolta, in modo positivo, dall’arrivo del successo della propria opera. E invece è più profondo, solleva con una delicatezza quasi poetica, problemi mai risolti come quello del razzismo, del bullismo, della solitudine e soprattutto della morte. La trama è un incrocio di persone nella vita di uno scrittore che appena terminato la sua opera dal titolo “Che razza di libro!”- Durante gli spostamenti negli Usa per la presentazione del suo volume incontra personaggi veri e immaginari, pronti a incollarsi alla sua esistenza e farli diventare protagonisti e comprimari della sua vicenda trasformata in un libro: una storia nella storia. Lo scrittore incrocia anche la vita di Ragazzino, giovane bullizzato, il personaggio immaginario che rappresenta il passato e il futuro, il già detto e quello che ancora resta da capire, la parte innocente e quella ferita dello scrittore. Si arriva in fondo con un nodo alla gola, con la voglia di ricominciare, come a voler sfuggire all’inevitabile traguardo della morte solo per dire “che razza di vita!”.

Loriano Macchiavelli: Il confine del crimine

Agile ma robusto questo racconto di meno di cinquanta pagine di Macchiavelli. Protagonista Sarti Antonio, sergente, non mancano personaggi tipici della sua Bologna, come Settepaltò, il barbone sempre fornito di numerosi cappotti per non soffrire il freddo, lui barbone, che con la vendita dei cartoni è riuscito a mettere su una baracca ai confini della città, rovinato in seguito all’introduzione della raccolta differenziata. O come Anacardio, il barista che lascia che Settepaltò usi il suo telefono per chiamare Sarti e segnalargli il furto di un fuoristrada di lusso da parte dell’altra, vera protagonista del racconto, Marcella Carlotti, detta Rasputin. E’ per lei che Sarti abbandona la sonnolenta vita cittadina e si inerpica fin sul Gran Sasso per inseguirla o seguirla (c’è questo elemento in sospeso sui rapporti di Sarti con questa bellissima ladra di auto che Sarti “La conosceva e ce n’ha messo a convincersi che una bella ragazza, con tanto di laurea, rubasse automobili importanti”). Per tentare di mettere in guardia la bella Rasputin dai rischi che, a un certo punto, inizia a correre per il furto di quel maledetto fuoristrada, Sarti è costretto a vivere ai limiti dell’insubordinazione i suoi rapporti col tenete Ruggeri, cui non dirà mai, fino all’epilogo del racconto, le ragioni per cui è convinto che, nell’intricata vicenda che si sviluppa, Marcella Carlotti sia solo una ladra di auto. A un certo punto, infatti, entrano in scena un certo Samir, probabile organizzatore di traffico di armi, inseguito da altri personaggi, non chiaramente identificati, che sembrano fidarsi il giusto di tutti. Sarti cercherà in tutti i modi possibili di tirare fuori dalla carneficina vera e propria che si scatena, la bella Rasputin, a costo di disobbedire platealmente al suo tenente. All’appassionato di gialli di qualità il compito di scoprire fin dove arriva l’impegno del sergente Sarti. E anche di capire quanto mobile sia per ciascuno il confine tra azioni sbagliate e vero e proprio crimine.

Macchiavelli, si sa, è maestro nel costruire e dipanare vicende quanto mai intrigate, anche se sempre verosimili. Ci mostra, insomma, avvenimenti, anche di notevole gravità, che per lo più passano inosservati all’occhio del cosiddetto cittadino comune. Ma lasciando sempre al lettore l’onere di ricucire qualche pezzo del puzzle che ci invita a montare insieme a lui.

Renato Campinoti