Vi state preparando alle vacanze? Cercato un libro da leggere? Ecco i consigli di lettura di Riccardo Parigi.
Consigli di lettura
Stefano Cosmo, Dentro la gabbia, Marsilio 2023.
Il trentenne Moreno Zanon torna nella sua città, Marghera, dopo che per molti anni ha girato il mondo, spostandosi soprattutto tra Thailandia e Brasile. Zanon è un campione di “Mma”, arti marziali miste, una disciplina molto violenta che viene combattuta all’interno di una gabbia. Disciplina violenta, certo, ma regolata da precise norme nell’ambito del professionismo internazionale.
Le arti marziali sono state la salvezza per Zanon: in gioventù, a Marghera, ha imboccato la strada della malavita; ne è uscito grazie all’aiuto di Giovanni, un operaio sindacalista, ma soprattutto una persona generosa che gestisce una palestra dove i ragazzi possono trovare un’alternativa al mondo dello spaccio e delle rapine. Non è stato altrettanto avveduto il fratello di Moreno, Marco, che è finito in carcere per gravi reati.
Ora Zanon, che è conosciuto nell’ambiente agonistico come il “Barba” ed è ricoperto di tatuaggi, ha l’occasione della sua vita: può misurarsi proprio in Italia con un fuoriclasse di Mma, l’irlandese O’ Connor, e tentare di conquistare una borsa estremamente consistente.
Accade però un evento che manda in frantumi i progetti e le speranze del protagonista. Marco viene gravemente ferito in prigione: ha fatto uno sgarro a un boss, Paolo Trabacchin, e se non paga i suoi debiti verrà di sicuro ammazzato. Zanon si sente perciò costretto a fare qualcosa per il fratello, a prendere contatti con Trabacchin, che non è un malavitoso di mezza tacca: “Era stato un pezzo grosso della Mala del Brenta, un esperto rapinatore, e aveva gestito un paio di bische clandestine a Marghera quando il videopoker era ancora fantascienza” (p.17).
Trabacchin, uscito da molto tempo di galera, continua a mandare avanti floride attività criminali che hanno a che fare con i centri di accoglienza e lo sfruttamento degli immigrati; controlla pure il gioco d’azzardo nelle carceri (ecco perché Marco è finito nei guai con lui) e non disdegna di organizzare giri di scommesse su tremendi incontri di kickboxing. Non c’è da stupirsi dunque che in pratica costringa Moreno a battersi in una di queste arene clandestine dove però non vige alcuna regola, tutti i colpi sono ammessi. Il Barba accetta per aiutare il fratello a estinguere i debiti, ma anche perché è pressato dal maresciallo Di Ciolla che ha un antico conto aperto col mafioso e vuole chiuderlo usando Zanon come una sorta di infiltrato. Aggiungiamo soltanto – non s’intende anticipare troppo – che molte sorprese attendono Moreno in questa difficile impresa, alcune assai più dolorose delle mazzate che riceve dagli avversari…
Stefano Cosmo si è avvicinato alla scrittura, secondo quanto afferma nella nota finale, grazie ai consigli e incoraggiamenti di Massimo Carlotto. Ha evidentemente sfruttato anche le sue esperienze lavorando “nel sociale come operatore di strada” e in quanto “appassionato di sport da combattimento”.
In effetti sa descrivere con efficacia cosa può succedere “dentro la gabbia”, una gabbia in cui non è presente un arbitro, non vengono rispettate le categorie di peso, non ci sono round e dunque l’incontro termina solo quando uno dei due contendenti soccombe. Ma quelli della lotta sono in fondo i momenti meno originali del romanzo: la mente dei lettori, o almeno di molti lettori, corre al filone cinematografico incentrato proprio sulle arti marziali che ebbe enorme successo tra gli anni Settanta e Novanta. Si ha la sensazione in molti punti che debbano all’improvviso irrompere, in un singolare contesto veneto, Jean-Claude Van Damme e il gigantesco combattente thailandese Ton-Po de Il nuovo guerriero, oppure Bruce Lee alla ricerca di un bàcaro.
L’aspetto che colpisce maggiormente di questo noir è piuttosto l’ambientazione. Forse per la prima volta Marghera diviene lo sfondo principale di un romanzo di genere. Attraverso le vicende drammatiche di Moreno Zanon ci si addentra nella realtà di quello che è stato uno dei più grandi poli industriali italiani ed europei: una realtà degradata, dove crescono gli attriti sociali, la disoccupazione, la delinquenza organizzata. Eloquenti a questo proposito alcune riflessioni del protagonista: “Nonostante gli anni passati a girovagare per il mondo, una connessione indissolubile mi legava alla mia città, e di sicuro non dipendeva dalla bellezza. Per quella c’era Venezia … Marghera era il suo lato oscuro, ma più profondo, intriso di un’umanità forgiata da lotte operaie, licenziamenti, povertà, droga, crimine e voglia di rivalsa. Era stata illusa e violentata dalle multinazionali, picchiata, abbandonata ma non si era arresa. E non si era scrollata di dosso il proprio ingombrante passato. Nonostante tutto, però, resisteva” (p.249).
Insomma, anche Marghera “dentro la gabbia”.
Leonardo Gori, La libraia di Stalino, TEA 2023.
Dicembre 1941.
Bruno Arcieri capitano del SIM, l’intelligence dell’Arma dei Carabinieri, viene inviato dal suo comandante sul fronte russo. A Stalino, in Ucraina, è stata intercettata una spia che comunica con gli inglesi e va fatta tacere a tutti costi.
Ecco dunque che Arcieri si trasferisce da Roma nelle immediate retrovie dell’immensa zona di combattimento (nell’attuale oblast di Doneck, regione anche in questi giorni sanguinosamente contesa…). Deve indagare soprattutto all’interno dell’ospedale militare perché, a quanto pare, la radiotrasmittente che manda messaggi alla “Perfida Albione” si trova nascosta in quell’edificio o nei paraggi.
La missione di Arcieri è anche una lotta contro il tempo dal momento che la clamorosa, in apparenza travolgente avanzata verso est dell’esercito tedesco e delle truppe italiane si è arrestata: l’ “Operazione Barabarossa” – messa in moto nel giugno del 1941 – segna il passo e si teme una controffensiva dei russi.
Tra il 21 e 29 dicembre il capitano si immerge completamente in una realtà disperata, si fa un’idea niente affatto superficiale di come funzionino il Comando italiano e in particolare l’Ospedale militare, giudica in che condizioni viva la popolazione locale. In particolare entra in contatto con i medici e i chirurghi che con straordinario coraggio e spirito di sacrificio svolgono il loro compito affrontando una situazione difficilissima per quanto riguarda le risorse e la logistica (mancano farmaci essenziali come i sulfamidici e le morti di soldati per infezione in seguito a ferite non si contano). All’interno di questo gruppo spicca la figura di colui che dirige l’ospedale, il colonnello Pitigrilli.
L’ufficiale, che rimarca subito di non avere rapporti di parentela col celebre romanziere (e informatore dell’Ovra), manifesta un carattere a dir poco eccentrico, non nasconde il suo antifascismo e le simpatie verso Stalin, eppure è tollerato almeno fino a quel momento dalle alte gerarchie dell’esercito e della politica: Pitigrilli ha infatti formidabili competenze professionali e ha dimostrato di sapere gestire una realtà – quella appunto dell’ospedale militare – che ben pochi sarebbero in grado di reggere sulle proprie spalle. Il colonnello permette di ricoverare e curare anche civili, e di fatto molti abitanti di Stalino hanno fraternizzato con medici e infermieri.
Fin dal loro primo incontro il colonnello spiega con schiettezza ad Arcieri come stanno le cose: “ «Non pensi troppo male, capitano», disse Pitigrilli, con voce cavernosa. Tossiva, forse era malato.
«Cosa dovrei pensare?».
«Se lei è qui per verificare eventuali voci sulla nostra condotta morale […] può tranquillizzare subito i bacchettoni di Roma».
Arcieri aggrottò la fronte: «Condotta morale?»
«C’è un via vai di visitatrici. Prima venivano solo per i loro uomini ricoverati, vecchi e ragazzi. Ma poi…ho lasciato fare […] La presenza femminile, la semplice presenza della donna, non significa necessariamente sesso. La gentilezza, il sorriso, sono ancora più importanti» (p. 45).
Al centro di questa complessa rete di rapporti e relazioni c’è Irina: bella, intelligente, decisa, è la figlia del vecchio Sergej che per moltissimi anni ha tenuto aperta l’unica libreria di Stalino. La donna aiuta Arcieri nella sua missione, lo accompagna per le strade del paese guidando uno dei pochi mezzi disponibili, un camion di fabbricazione sovietica utilizzato di solito per trasportare i cadaveri: è l’allucinante “carro dei morti” dotato di un unico, enorme fanale.
Irina fa visitare al capitano la libreria che suo papa, come lo chiama affettuosamente, ha curato con appassionata dedizione fino allo scoppio del conflitto. È uno dei punti più belli e intensi del romanzo: “Salirono pochi scalini, poi lei spinse una porta e si trovarono in una vasta sala, con le pareti piene di libri. Non si distinguevano bene, le coste sembravano tutte nere, per la scarsa luce. Ma non era completamente buio, come in una stanza chiusa. Arcieri alzò la testa stupito. Vide passare degli uccelli, contro il cielo scuro, forse dei corvi. Quella sala piena di libri non aveva il soffitto” (p. 196).
Irina sa il pericolo che corre se i sovietici riconquistassero la città, sarebbe perseguitata e uccisa come tante altre donne che hanno intrattenuto rapporti col “nemico”. In realtà la giovane gioca un ruolo significativo – ovviamente non aggiungiamo altro su questo punto – nella missione affidata ad Arcieri, il quale avrà modo di ottenere informazioni su fatti sconvolgenti, fatti occultati in una sorta di vaso di Pandora…
Ribadiamo quanto detto in diverse occasioni: etichette come “spy story” o “thriller storico” stanno ormai strettissime ai romanzi di Leonardo Gori e possono apparire addirittura fuorvianti. Si tratta di “roman roman” – come avrebbe specificato Simenon – testi che descrivono, con un vigore narrativo scevro da enfasi e stereotipi, la complessa, coinvolgente avventura umana di un uomo, Bruno Arcieri, e di riflesso lo spaccato di un’epoca segnata da miserie indicibili, orrori terrificanti e nel contempo da atti di coraggiosa consapevolezza. Azioni che indicano la capacità, da parte di molti uomini a lungo lusingati o comunque influenzati dal regime, di fare precise, indifferibili scelte di campo.